Quello che oggi viene comunemente denominato “Parco di Monserrato”, oltre alla quieta ed elegante magnificenza che oggi tutti riescono a cogliere, partecipa in realtà di una bellezza più nascosta, senza forma, che è quella rappresentata dall’alternarsi delle vicende storiche che lo hanno da sempre legato alla città di Sassari.
Sin dal XVII secolo, passando progressivamente nelle disponibilità di facoltose famiglie di proprietari terrieri sempre più “inurbate”, quello che era un fertile appezzamento di terreno da coltivare si è trasformato col tempo in un vasto ed elegante giardino, ricco di piante ed essenze arboree mirabilmente selezionate e disposte per dare vita, anche grazie ad alcuni divertissement architettonici collocati con gusto e sapienza, ad effetti scenografici di grande suggestione.
Il tutto ha preso vita e si è costantemente sviluppato in virtù di sistemi d’irrigazione ingegnosi, messi a punto appositamente per valorizzare le peculiarità morfologiche del sito con specchi e giochi d’acqua. Poi, dopo alcune spettacolari realizzazioni in stile neogotico, come la Torre di Caccia e la Vasca del Belvedere, e in seguito ad ulteriori passaggi di proprietà, il Parco di Monserrato ha attraversato una lenta ma costante fase di “disimpegno”, che dal secondo dopoguerra fino al nuovo secolo si è cristallizzata in un lungo periodo di trascuratezza, di abbandono materiale ed emotivo.
La coscienza civica dei sassaresi ha però impedito che tale situazione portasse ad una sorta di rimozione culturale, foriera di perniciose soluzioni di “riutilizzo” dell’intera area, e oggi, grazie ad un accurato e filologicamente corretto intervento di restauro conservativo, il Parco è stato riportato all'antico splendore, restituendolo in massima parte alla cittadinanza.
Rivivono, finalmente, i viali alberati (dei Tigli, dei Lecci, dei Carrubi, dei Cipressi, dei Pini), preludi di spettacolari viste e scorci panoramici su Sassari, e fra esemplari pregiati di palme, agrumi, ulivi, melograni, magnolie, salici, ippocastani e siepi di lentisco possono nuovamente essere apprezzate architetture come il Tempietto delle Acque, il Ninfeo, la Torre e la Vasca del Belvedere: vere e proprie opere d’arte, progettate sfruttando la naturale morfologia del terreno, che insieme alla lussureggiante vegetazione fanno percepire il Parco di Monserrato come un sistema perfettamente integrato di architettura e natura.
Non si può arrivare a Sassari senza avere grandi aspettative, senza l’intima convinzione di trovarsi sul punto di immergersi in un habitat culturale di spessore plurimillenario, sviluppatosi nel meraviglioso contesto naturalistico che accomuna l’ultima capitale del medievale Giudicato di Torres al resto della Sardegna.
Strati e strati di storia, di cultura e di bellezza assoluta, che non si sono sovrapposti meccanicamente per un naturale e “coprente” processo di sedimentazione, ma che hanno visto sempre il nuovo impegnato a riportare alla luce l’antico, traendone solidità e legittimando una propria valenza identitaria.
Il complesso nuragico di Monte d’Accoddi ne è la prima testimonianza; un sito unico in tutto il bacino del Mediterraneo, di cui ancora oggi sono percepibili i tratti materici di una storia lunga molti millenni, che una superficiale quanto appiattita percezione dello scorrere del tempo relega al concetto insensato di “preistoria”. Una traiettoria infinita, che ha visto confluire in quest’area, da sempre ammantata di sacralità, i riti e le cerimonie religiose funzionali al congiungimento della vita alla morte e, di nuovo, alla vita, in un susseguirsi spaziale e temporale di forme di pietra, che partecipano della scultura come dell’architettura.
Ma Sassari è piena di situazioni simili a questa, anzi, si può dire che ne siano la parte strutturante. La sua Cattedrale, il Duomo di San Nicola, è un organismo complesso, articolato in tanti elementi architettonici e decorativi, scaturiti da un cantiere che non si è praticamente mai arrestato sin dal Medioevo; pur risultando chiaramente distinguibili per i canoni stilistici e le tecniche costruttive che le hanno prodotte, tanto da risultare “credibili” anche considerandole isolate dal contesto, la facciata, le volte, la torre campanaria, le cappelle, tutte concorrono a restituire un’immagine sorprendentemente unitaria della chiesa, che stupisce per eleganza ad armonia.
Le stesse considerazioni valgono per altri “luoghi” di Sassari, spazi aperti che trasformandosi nel tempo hanno accumulato una tale energia identitaria da apparire, invece, perfettamente “finiti”. È il caso di Piazza d’Italia, spazio urbano creato per suscitare l’ammirazione dei forestieri e la riverente gratitudine della cittadinanza, tanto maestoso nelle dimensioni e nella formale rappresentatività delle quinte che lo delimitano, quanto intimo e confidenziale nella quotidianità che ne ha fatto il salotto dei sassaresi, il luogo dell’incontro e della socializzazione.
E qui si introduce l’altro elemento che chiarisce la cifra culturale con cui ci si trova a confrontasi a Sassari, cioè la capacità dei suoi abitanti di riappropriarsi di spazi ed edifici che l’oblio o l’establishment hanno tentato, invano, di sottrarre, reinventandone le funzioni ed adattandone le forme al “senso dei luoghi”. Così è accaduto per il Parco di Monserrato, lussureggiante giardino periurbano, arricchito da romantiche architetture neogotiche e divertenti giochi d’acqua, che dal secondo dopoguerra, per quasi sessant’anni, è stato lasciato a sprofondare nella trascuratezza e nell’abbandono; un processo di rimozione culturale che il senso di appartenenza dei Sassaresi ha finalmente sovvertito, favorendo l’intervento di restauro conservativo che ha riportato il Parco all'antico splendore, restituendolo in massima parte alla cittadinanza.
Ma anche un altro simbolo della città, il Palazzo Ducale, ha il proprio vissuto di rimozioni, rinunce, ricostruzioni, riscoperte e riappropriazioni. Per edificarlo nelle forme attuali, splendide, nel XVIII secolo era stato completamente stravolto il tessuto urbano preesistente, cancellandolo completamente o inglobandolo nella nuova struttura. Oggi, da Palazzo di Città, apre al pubblico le sale più prestigiose, dove si possono ammirare importanti collezioni di opere d’arte, arredi e suppellettili, manufatti scaturiti dalla tradizione artigianale locale e documenti di notevole valore storico. Inoltre, le cantine e gli ambienti di servizio al piano terra hanno restituito importanti tracce degli edifici preesistenti, occultati dalla nuova fabbrica, ma adesso nuovamente apprezzabili grazie al suggestivo allestimento espositivo, fruibile mediante una passerella sospesa, denominato Le Cantine del Duca.
Non c’è, invece, soluzione di continuità, perlomeno nel sentimento popolare, per i due eventi che rappresentano i più autentici momenti di condivisione e manifestazione di un comune senso d’appartenenza dei sassaresi e di apertura, al tempo stesso, della città verso il mondo: la Cavalcata Sarda e la Faradda di li Candareri (la Discesa dei Candelieri).
La prima è un folgorante caleidoscopio di colori, tessuti, musiche e danze, di volti e di voci provenienti da ogni angolo della Sardegna, che danno vita ad una festa laica capace di ammaliare e rapire gli spettatori, storditi dal frastuono turbinante prodotto dagli zoccoli dei cavalli e dalle cadenze ossessive dei riti arcaici, riproposti da Compinodori e Sartiglianti, Mamuthones e Issohadores, Boes e Merdules. A distanza di oltre un secolo dalla prima edizione “moderna”, tenutasi nel 1899 per l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza d’Italia, alla presenza dei Reali di Casa Savoia, la Cavalcata Sarda conserva tuttora il fascino di un evento che unisce la forza dirompente dei cavalli al galoppo, all’orgoglio di tutte le genti sarde nel mostrare la ricchezza e la solidità delle proprie tradizioni.
In occasione della Faradda di li Candareri, ogni anno il 14 di agosto, si raggiunge invece il culmine del sentimento religioso e della devozione popolare dei sassaresi. Non a caso, quando i rappresentanti delle antiche corporazioni dei mestieri di Sassari, i Gremi, portano in processione i grandi candelieri votivi in legno da Piazza Castello fino alla suggestiva Chiesa di Santa Maria di Betlem, riempiendo di luci e animando con suoni e spericolate evoluzioni le vie del centro storico, a Sassari è Festha Manna (Festa Grande). E lo è per tutti, sassaresi e forestieri, completamente assorbiti in un processo di comunicazione, conoscenza e condivisione che induce, infine, alla commozione.