Biella

Biella, l’identità ritrovata e l’intensità dei suoi dintorni

Esistono città in cui storia e tradizioni sono inseparabili dall’identità della città stessa, come fossero metonimie, l’immagine del luogo ne diventa rappresentazione e finestra sull’esterno.

Biella fa parte a pieno diritto di questo gruppo, ultimo grande centro a nord del Piemonte, è impregnata di una storia produttiva che la precede, quasi fosse già scritto nei suoi tratti caratteristici.

Nominata città creativa dall’Unesco nel 2019, oggi Biella racconta come lo sviluppo urbano creativo sia sempre possibile quando si sceglie la valorizzazione della propria storia territoriale.



Anche oltrepassando il perimetro cittadino, non manca la possibilità di trovare angoli in grado di fare assaporare l’anima più schietta di questo territorio, sia dal punto di vista culturale che naturalistico. 

Il ricetto di Candelo è un borgo medievale rimasto intatto e nel quale ci si può facilmente immergere e percepire la vita che in altri tempi animava le strade, così come il Santuario di Oropa, divenuto patrimonio Unesco nel 2013, attrae ancora oggi una folta popolazione di curiosi. C’è poi la natura a nutrire il paesaggio circostante, una natura di cui l’uomo si è preso carico perché rimanesse intatta. L’oasi Zegna fa parte oggi dei beni del Fai e tutela numerose varietà arboree per contrastare l’effetto del cambiamento climatico; la riserva naturale delle Baragge, il torrente Cervo non sono soltanto aree verdi ma testimonianze concrete della scelta di conservare un luogo e farne la propria identità.


Il tessuto del biellese: storia di un’industria destinata a durare

Dal punto di vista geografico, il territorio che si sviluppa attorno alla cittadina di Biella è collinare e montuoso, ricco di corsi d’acqua, configurazione che nei secoli ha portato allo sviluppo della produzione di filati e tessuti, che oggi rende questa zona un’eccellenza produttiva.

Le prime tracce di questa attività sono precedenti ai romani, saranno però le innovazioni della rivoluzione industriale a modificare non solo la lavorazione, ma anche l’intero paesaggio della zona: nel 1816 Pietro Sella, biellese, introduce i primi telai meccanici in Italia e l’intero territorio si ricopre di opifici, edifici rettangolari a finestre quadrate, ciminiere che puntano al cielo, ma anche di villaggi operai, scuole, centrali idroelettriche, canali di derivazione. 

Nasce un nuovo panorama industriale che da questo momento in poi sarà il segno distintivo della geografia del luogo: contribuirà a formare quell’immagine variegata di città che sa riconoscersi e quindi valorizzarsi. Il tratto da Biella a Borgosesia è un percorso oggi conosciuto come la Via della Lana, cinquanta chilometri di siti industriali che immortalano il genius loci del distretto biellese.


La seconda vita dei lanifici

Far apprezzare un prodotto semilavorato come i filati e i tessuti ha sempre presentato delle difficoltà. Con l’evolversi del mercato non sempre i lanifici sono stati capaci di restare al passo; al tempo hanno resistito quelli che sono riusciti a specializzarsi nell’abbigliamento e che hanno investito sulla qualità e sul pregio dei propri prodotti. Cerruti, Zegna, Loro Piana, Piacenza sono solo alcuni dei nomi che portano avanti la tradizione produttiva: molti di questi opifici, infatti, sono ancora in attività, altri invece hanno resistito al tempo convertendo la propria destinazione d’uso, valorizzando così la propria storia. 

È il caso dell’ex lanificio Zignone dove oggi si trova la “Fabbrica della Ruota”, un centro culturale che ospita una mostra permanente che documenta la storia dell’industria tessile biellese. 

Questo spazio si inserisce in un progetto più ampio, l’Ecomuseo del biellese, che si pone l’obiettivo di ricomporre sotto un’unica visione la complessità del territorio industriale nel quale è immerso. È costituito da quindici poli che, supportati dalle istituzioni locali, costruiscono una narrazione complessa dei luoghi e offrono la possibilità a chi arriva di penetrare a fondo nella storia e nell’identità di questa zona.


Il caso della Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto

Un unicum in questo senso è la trasformazione dell’ex Lanificio Trombetta, acquistato da Michelangelo Pistoletto all’inizio degli anni Novanta: diventerà la Cittadellarte, conosciuta oggi come Fondazione Pistoletto. 

L’opificio trova una seconda vita non soltanto dal punto di vista architettonico e strutturale, ma soprattutto in qualità di incubatore di idee. Come era successo per le prime industrie tessili, che avevano favorito la costituzione di intere comunità attorno al luogo di lavoro, Cittadellarte si configura come un attrattore culturale di fortissimo impatto che attira a sé studenti, artisti, architetti e che, al tempo stesso, si apre alla comunità locale. 

Del resto, è la stessa figura di Michelangelo Pistoletto, rappresentante di spicco del movimento dell’Arte Povera, a trasmettere il bisogno di un ritorno della società alle origini; allo stesso tempo impersona in modo coerente il proprio interesse verso l’incontro con l’altro, come bene si intuisce dal suo lavoro con gli specchi riflettenti, sua cifra stilistica.

Dal 2014 la Cittadellarte ha avviato una collaborazione con UNECE – United Nations Economic Commission for Europe, legata al tema della Moda Sostenibile. Sembra un cerchio che si chiude, una trama ovvia, scontata.

La verità è che la tradizione industriale di questo territorio non solo ha imparato a raccontarsi, ma possiede la capacità intrinseca di rinnovarsi nel tempo, l’unica che può durare.