Basilica di San Frediano

È insolito che un edificio religioso, una chiesa in particolare, riesca a restituire un’immagine così efficacemente descrittiva della personalità a cui è dedicata. San Frediano, l’eremita colto, l’energico irlandese, il profondo conoscitore dell’animo umano come dell’ingegneria idraulica, da vescovo fu capace di guidare le anime sperdute dei lucchesi, vittime dell’horror vacui creato dall’invasione longobarda, e di irreggimentare e contenere le acque del Fiume Serchio, bonificando l’area urbanizzata di Lucca ed i terreni circostanti.

La vulgata del popolo, riconoscente e devoto, attribuì la riuscita dell’intervento non già alla perizia di un “tecnico”, ma al miracolo di un Santo, che con un semplice rastrello tracciò il nuovo corso del fiume. L’evento miracoloso è immortalato nel ciclo di affreschi cinquecenteschi della Cappella di Sant’Agostino, opera di Amico Aspertini, accessibile dalla navata sinistra della basilica.

Ma la presenza di San Frediano si avverte chiaramente, in realtà, anche dove il Santo non viene espressamente “citato”. La facciata, che non ha visto sacrificare la piana luminosità del romanico lucchese al virtuosismo scultoreo del gotico pisano, come capitato per altre chiese di Lucca, è stata pragmaticamente ampliata sia in altezza che in larghezza per adeguarsi alla nuova copertura della navata centrale ed alla progressiva realizzazione delle cappelle addossate alle navate laterali. A quasi cinque secoli dalla morte del Santo, la soluzione formale adottata, che restituisce plasticamente l’approccio pratico e costruttivo del Frediano tecnico, viene quasi sublimata dalla posa di un grande mosaico a fondo oro, che occupa l’intera fascia corrispondente al rialzo della navata centrale, e che per coerenza teologica e gusto artistico rispecchia fedelmente il Frediano vescovo, in odore di santità, e uomo – per il suo tempo –  di grande cultura.

L’interno della basilica si articola anch’esso sulla dialettica fra espressione artistica e pratica del costruire, e ne risulta un insieme così armonico da riconoscere pari dignità ad entrambi i poli. Le navate sono scandite da colonne di spoglio, sormontate da capitelli di gusto corinzio anch’essi alloctoni, e pur rappresentando evidentemente la quintessenza di un pragmatico “utilitarismo architettonico”, riescono a conferire a San Frediano la stessa aura elegante ed austera delle basiliche paleocristiane di Roma. Fanno da contrappunto, collocati lungo le navate oppure custoditi all’interno delle ampie e più tarde cappelle laterali, tanti capolavori che testimoniano efficacemente la grandezza dei Maestri e delle scuole pittoriche e scultoree che hanno operato a Lucca sin dall’Alto Medioevo.

Fra le tante opere d’arte, un autentico gioiello è rappresentato dal Fonte battesimale del XII secolo, detto “la navatella”, formato da una vasca circolare splendidamente decorata da un ciclo scultoreo sulle storie di Mosè, opera di due diversi artisti; al centro della vasca si innalza un pilastro che sorregge una coppa, sormontata a sua volta da un coperchio, poggiante su sei colonnine, interamente scolpito da un terzo Maestro con un ciclo dedicato ai mesi e agli Apostoli.

La Cappella della Croce (o di S. Agostino, o delle Reliquie) ammalia invece per le pareti e le volte, splendidamente affrescate da Amico Aspertini alternando temi evangelici ad episodi significativi delle vicende ecclesiastiche locali (fra cui il già citato Miracolo del Serchio operato da San Frediano).

Merita altrettanta attenzione, infine, la Cappella Trenta, che ospita tre capolavori di Jacopo Della Quercia: il polittico marmoreo Madonna con Bambino e Santi e le tombe terragne di LorenzoTrenta e della consorte.

Il Territorio
Lucca

Una visita a Lucca, la prima o l’ennesima che sia, non è mai banale. Richiede un approccio colto, ed estremamente curioso. Basta percorrere i viali all’esterno della cinta muraria, ed è inevitabile sentirsi attratti dal desiderio di scoprire volumi, forme, spazi e atmosfere, soltanto intuiti perché celati alla vista e protetti dalla possente cortina, che nel tempo ha saputo aprirsi ed accogliere senza mai essere violata.

Lucca, città che appare disegnata e costruita sulle tracce della propria storia, in realtà ne diviene continuamente ispiratrice, mantenendo segni e strumenti che conservano l’originaria consistenza materica, pur offrendosi a rinnovate esigenze di funzione e fruizione.

La struttura urbanistica, in primo luogo. Il sistema viario di origine romana, imperniato sul cardo di via Fillungo - via Cenami e sul decumano di via S. Paolino - via S. Croce, è la matrice che ha informato tutti i successivi sviluppi della città intra moenia, rimanendo percepibile anche nei tratti che risultano parzialmente alterati dalle nuove fabbriche, in particolare quelle dedicate al culto, dal Medioevo in avanti.

Ancora più eclatante il caso dell’Anfiteatro romano. Risalente al II secolo d.C., dalle sue mura in progressivo decadimento è sorta una schiera di edifici, secondo un processo di “estrusione storica” che ha sedimentato l’arena ellittica, trasformandola da spazio monumentale a spazio urbano per antonomasia, la piazza, in quanto tale pienamente recuperata solo nel 1838.

E poi le mura, perfettamente integre. Testimoni e custodi dell’identità di Lucca e dei Lucchesi, sono diventate esse stesse la rappresentazione plastica di questa identità, anch’essa tanto integra quanto “accessibile”. Le splendide porte monumentali che conducono al cuore della città murata simboleggiano efficacemente la serena austerità necessaria per approcciarsi allo spirito del luogo, così come i varchi minori, richiesti dall’uso e dal tempo, indicano una via alternativa, più intima e individualista, per incontrarne gli abitanti.

Tutto, fino a questo punto, sembra dispiegarsi seguendo placide prospettive orizzontali. Gli improvvisi accenti verticali delle torri urbiche, per quanto già percepiti, traguardando oltre le mura, da lontano, suscitano dunque una sorta di appagante disorientamento per chi ha abituato lo sguardo a spazi e dimensioni rese misurabili, e quindi rassicuranti, dai continui rimandi delle quinte stradali. Slanci verso l’alto che hanno esiti mai scontati, se non addirittura imprevedibili, suscitati dai rintocchi delle ore e dei quarti scanditi dalla Torre delle Ore, o dal frusciare sommesso della chioma arborea della Torre Guinigi.

Infine, le chiese di Lucca. Tante, alcune sobrie, altre ricchissime di ornamenti e particolari, tutte indistintamente amate dai Lucchesi, che le sentono affidabili depositarie della propria devozione. Simboli religiosi e opere d’arte custoditi al riparo di facciate complesse, dove l’uso architettonico e mediatico della luce è la cifra condivisa. Ne sono strumenti gli infiniti giochi di intarsi, le sculture, le arcate cieche e le logge, che per contrasto esaltano la luminosità dei marmi e della pietra lucchese delle facciate di San Martino, la Cattedrale, e di San Michele, o lo sfondo aureo della trama musiva sovrapposta alle lisce superfici verticali della facciata basilicale di San Frediano. Contrasti che vengono a proporsi, su piani spazialmente diversi, anche rispetto al caldo cromatismo degli intonaci e del cotto, che prevale sui tetti e lungo le quinte architettoniche di strade e piazze.

Tutto questo ha un effetto straordinario, perché Lucca, l’attuale Lucca, pur essendo il risultato del continuo sovrapporsi e affiancarsi di materiali, tecniche costruttive e soluzioni spaziali che sono espressione di ben definite fasi storiche, artistiche e culturali, infonde equilibrio e armonia come se fosse espressione di un unico pensiero, formatosi in un tempo indefinito, con cui potersi confrontare adesso.

(Continua)