Cattedrale di San Martino

Complessità è la cifra culturale del Duomo di Lucca, dedicato a San Martino di Tours. Complessità che non può considerarsi, semplicemente, una conseguenza della continua stratificazione di interventi che hanno interessato la fabbrica della chiesa sin dal VI secolo. Piuttosto, la necessità di dare segno su un’unica tela – peraltro divenuta in corso d’opera “asimmetrica” – a significati che partecipano contemporaneamente di arte, fede, mistero, magia, fisica, politica, economia, ha trovato sintesi in un’alchimia di manifestazioni formali tanto sublimi quanto – incredibilmente – armoniche.

Eppure, preso singolarmente, ogni elemento compositivo di San Martino è “eccentrico”, nel senso che “è spostato” dal centro, a partire dal sito di fondazione a ridosso della cinta muraria, lontano, quindi, dal cuore urbanistico di Lucca.

Ma c’è dell’altro. Nella plurisecolare dialettica cittadina fra volumi edificati e spazi urbani, a un certo punto, la fabbrica in espansione si è vista posizionare la faccia più rappresentativa dove il contesto non lo consentiva affatto, se non scendendo a patti con tutti i canoni compositivi – impregnati di simbolismo religioso – richiesti dal tema.

Il luogo della simmetria verticale, dei rapporti aurei che definiscono algebricamente i delicati equilibri formali delle classiche facciate basilicali, dove la proporzione è condizione imprescindibile per partecipare della perfezione divina, si è dunque contratto, sbilanciato, ha rinunciato alla simmetria; ha, appunto, perso il suo centro. Con effetti imprevedibili.

La mancanza di simmetria impedisce una percezione sintetica della facciata, e quindi è impossibile ricavarne un’immagine mentale univoca ed esaustiva. Il risultato è che l’attenzione viene canalizzata inesorabilmente verso i particolari, che in un contesto sensitivo alla continua ricerca di equilibrio, e quindi di stabili punti d’appoggio, hanno un peso specifico molto rilevante.

Quando ogni singola colonna, le sculture, i fregi, persino le diverse sfumature di luce rilasciate dai marmi policromi, quando tutto, insomma, si contende lo sguardo, il punto di fuga più imprevedibile, ma talmente misterioso da risultare ovvio, si rivela essere uno straniante e metafisico labirinto, piccolo bassorilievo scolpito sul pilastro dell’arcata “contratta”, adiacente alla torre campanaria. Va visto, e basta.

Posto all’ingresso di un luogo dello spirito dove l’inspiegabile è dogma della Vera Fede, il labirinto lucchese non va interrogato, perché non dà risposte, o forse ne restituisce troppe, che è la stessa cosa. Invita a procedere lungo percorsi mentali, questi non labirintici, che vorrebbero condurre fino ad Alatri, a Chartres, o chissà dove.

Invece bisogna entrare, lì, adesso, nel Duomo, e percorrere l’intera navata centrale – anch’essa sorprendente per la notevole differenza di altezza rispetto alle navate laterali – dove l’austerità romanica e lo spiccato verticalismo gotico si uniscono per infondere quella serenità che, forse, è la condizione umana che fa sentire maggiormente la vicinanza al divino.

Il resto, all’interno, è un abaco di capolavori, pezzi unici per la storia e la leggenda che da sempre li circonda o per il talento artistico di chi li ha pensati e realizzati. La Madonna in trono col Bambino e Santi del Ghirlandaio, esaltazione della vita, fa da contrappunto pittorico al Monumento Funebre di Ilaria del Carretto, solenne quanto delicata scultura realizzata da Jacopo della Quercia; questa rinascimentale rappresentazione della pace ultraterrena, naturale conseguenza di una vita trascorsa perseguendo la virtù, viene stravolta dalla visione drammatica, preludio delle allegorie barocche, che il Tintoretto restituisce a distanza di un secolo nell’Ultima Cena, fragorosa testimonianza della caducità delle vicende umane in rapporto alla forza dolce e sublime del Figlio di Dio.

Infine, mentre lo spazio si riempie di soavi note fluttuanti dalle canne dell’Organo Mascioni, rimane da ammirare il carismatico Volto Santo di Gesù, crocifisso ligneo con un volto del Cristo ritenuto acheropita, legato a una tradizione miracolistica che lo fa da secoli venerare non solo a Lucca, che ogni 13 di settembre gli dedica solenni e variopinti festeggiamenti con la Luminara di Santa Croce, ma anche in molte altre città d’Europa.

Il Territorio
Lucca

Una visita a Lucca, la prima o l’ennesima che sia, non è mai banale. Richiede un approccio colto, ed estremamente curioso. Basta percorrere i viali all’esterno della cinta muraria, ed è inevitabile sentirsi attratti dal desiderio di scoprire volumi, forme, spazi e atmosfere, soltanto intuiti perché celati alla vista e protetti dalla possente cortina, che nel tempo ha saputo aprirsi ed accogliere senza mai essere violata.

Lucca, città che appare disegnata e costruita sulle tracce della propria storia, in realtà ne diviene continuamente ispiratrice, mantenendo segni e strumenti che conservano l’originaria consistenza materica, pur offrendosi a rinnovate esigenze di funzione e fruizione.

La struttura urbanistica, in primo luogo. Il sistema viario di origine romana, imperniato sul cardo di via Fillungo - via Cenami e sul decumano di via S. Paolino - via S. Croce, è la matrice che ha informato tutti i successivi sviluppi della città intra moenia, rimanendo percepibile anche nei tratti che risultano parzialmente alterati dalle nuove fabbriche, in particolare quelle dedicate al culto, dal Medioevo in avanti.

Ancora più eclatante il caso dell’Anfiteatro romano. Risalente al II secolo d.C., dalle sue mura in progressivo decadimento è sorta una schiera di edifici, secondo un processo di “estrusione storica” che ha sedimentato l’arena ellittica, trasformandola da spazio monumentale a spazio urbano per antonomasia, la piazza, in quanto tale pienamente recuperata solo nel 1838.

E poi le mura, perfettamente integre. Testimoni e custodi dell’identità di Lucca e dei Lucchesi, sono diventate esse stesse la rappresentazione plastica di questa identità, anch’essa tanto integra quanto “accessibile”. Le splendide porte monumentali che conducono al cuore della città murata simboleggiano efficacemente la serena austerità necessaria per approcciarsi allo spirito del luogo, così come i varchi minori, richiesti dall’uso e dal tempo, indicano una via alternativa, più intima e individualista, per incontrarne gli abitanti.

Tutto, fino a questo punto, sembra dispiegarsi seguendo placide prospettive orizzontali. Gli improvvisi accenti verticali delle torri urbiche, per quanto già percepiti, traguardando oltre le mura, da lontano, suscitano dunque una sorta di appagante disorientamento per chi ha abituato lo sguardo a spazi e dimensioni rese misurabili, e quindi rassicuranti, dai continui rimandi delle quinte stradali. Slanci verso l’alto che hanno esiti mai scontati, se non addirittura imprevedibili, suscitati dai rintocchi delle ore e dei quarti scanditi dalla Torre delle Ore, o dal frusciare sommesso della chioma arborea della Torre Guinigi.

Infine, le chiese di Lucca. Tante, alcune sobrie, altre ricchissime di ornamenti e particolari, tutte indistintamente amate dai Lucchesi, che le sentono affidabili depositarie della propria devozione. Simboli religiosi e opere d’arte custoditi al riparo di facciate complesse, dove l’uso architettonico e mediatico della luce è la cifra condivisa. Ne sono strumenti gli infiniti giochi di intarsi, le sculture, le arcate cieche e le logge, che per contrasto esaltano la luminosità dei marmi e della pietra lucchese delle facciate di San Martino, la Cattedrale, e di San Michele, o lo sfondo aureo della trama musiva sovrapposta alle lisce superfici verticali della facciata basilicale di San Frediano. Contrasti che vengono a proporsi, su piani spazialmente diversi, anche rispetto al caldo cromatismo degli intonaci e del cotto, che prevale sui tetti e lungo le quinte architettoniche di strade e piazze.

Tutto questo ha un effetto straordinario, perché Lucca, l’attuale Lucca, pur essendo il risultato del continuo sovrapporsi e affiancarsi di materiali, tecniche costruttive e soluzioni spaziali che sono espressione di ben definite fasi storiche, artistiche e culturali, infonde equilibrio e armonia come se fosse espressione di un unico pensiero, formatosi in un tempo indefinito, con cui potersi confrontare adesso.

(Continua)