Cattedrale di San Nicola

È la luce, probabilmente, così netta e abbacinante sotto il cielo terso di Sassari, che riesce ad amalgamare un insieme di elementi architettonici tanto diversi per cifra stilistica quanto matericamente simili, al punto da far percepire la massa articolata della Cattedrale di San Nicola, il Duomo di Sassari, come un unico, armonico organismo.

Un abaco di stili, forme, volumi, tutti a rappresentare dignitosamente lo stato dell’arte del tempo da cui sono scaturiti, tutti, almeno in parte, ancora oggi percepibili. Si fa fatica ad isolarli ed elencarli, ancor di più se si tenta di disporre le parti secondo un ordine cronologico: i resti di una fabbrica paleocristiana visibili sotto l’attuale abside; la parte basamentale della torre campanaria romanica, oggi sovrastata da una più agile struttura settecentesca, che è l’unico corpo superstite della chiesa originaria; la facciata, splendida ed elegante, seppur sfarzosamente barocca; la navata, unica, caratterizzata da alte volte costolonate in stile gotico-catalano, risalenti alla fabbrica del XV secolo, e le cappelle laterali, che insieme alle cappelle del transetto rappresentano autentici scrigni, pieni di opere d’arte scultoree e pittoriche che vanno dal Medioevo al XIX secolo.

Fra queste spiccano il dipinto di scuola senese raffigurante la Madonna del Bosco, risalente al XIV secolo, l’altare maggiore in marmo, scolpito sul finire del XVII secolo con colonne e capitelli corinzi, ed in particolare lo splendido coro ligneo del XVIII secolo. Degni di menzione anche il Mausoleo di Placido Benedetto di Savoia, nella cappella intitolata di Sant’Anna, e l’ottocentesca Coena Domini, nella cappella del Santissimo Sacramento.

Anche l’apparato decorativo esterno rispecchia le stratificazioni stilistiche dell’edificio, con elementi scultorei che spaziano dal gotico (alcuni originali, altri dovuti a successivi rifacimenti) al barocco. Dal cospetto delle seicentesche statue che ornano la superba facciata, raffiguranti i Santi Martiri turritani, San Nicola e il Padreterno, procedendo lungo il fianco esterno della chiesa si possono ammirare elementi architettonici di stile gotico, in particolare i doccioni, fino ad arrivare al basamento romanico della torre campanaria.

Forme estremamente varie, dunque, che rispecchiano soluzioni stilistiche riferite ad epoche molto distanti fra loro, ma che restituiscono un insieme armonico ed elegante, che lo scrittore Elio Vittorini, al suo cospetto, ha efficacemente rappresentato con la frase “eppure non le si vorrebbe toglier nulla”.

Il Territorio
Sassari

Non si può arrivare a Sassari senza avere grandi aspettative, senza l’intima convinzione di trovarsi sul punto di immergersi in un habitat culturale di spessore plurimillenario, sviluppatosi nel meraviglioso contesto naturalistico che accomuna l’ultima capitale del medievale Giudicato di Torres al resto della Sardegna.

Strati e strati di storia, di cultura e di bellezza assoluta, che non si sono sovrapposti meccanicamente per un naturale e “coprente” processo di sedimentazione, ma che hanno visto sempre il nuovo impegnato a riportare alla luce l’antico, traendone solidità e legittimando una propria valenza identitaria.

Il complesso nuragico di Monte d’Accoddi ne è la prima testimonianza; un sito unico in tutto il bacino del Mediterraneo, di cui ancora oggi sono percepibili i tratti materici di una storia lunga molti millenni, che una superficiale quanto appiattita percezione dello scorrere del tempo relega al concetto insensato di “preistoria”. Una traiettoria infinita, che ha visto confluire in quest’area, da sempre ammantata di sacralità, i riti e le cerimonie religiose funzionali al congiungimento della vita alla morte e, di nuovo, alla vita, in un susseguirsi spaziale e temporale di forme di pietra, che partecipano della scultura come dell’architettura.

Ma Sassari è piena di situazioni simili a questa, anzi, si può dire che ne siano la parte strutturante. La sua Cattedrale, il Duomo di San Nicola, è un organismo complesso, articolato in tanti elementi architettonici e decorativi, scaturiti da un cantiere che non si è praticamente mai arrestato sin dal Medioevo; pur risultando chiaramente distinguibili per i canoni stilistici e le tecniche costruttive che le hanno prodotte, tanto da risultare “credibili” anche considerandole isolate dal contesto, la facciata, le volte, la torre campanaria, le cappelle, tutte concorrono a restituire un’immagine sorprendentemente unitaria della chiesa, che stupisce per eleganza ad armonia.

Le stesse considerazioni valgono per altri “luoghi” di Sassari, spazi aperti che trasformandosi nel tempo hanno accumulato una tale energia identitaria da apparire, invece, perfettamente “finiti”. È il caso di Piazza d’Italia, spazio urbano creato per suscitare l’ammirazione dei forestieri e la riverente gratitudine della cittadinanza, tanto maestoso nelle dimensioni e nella formale rappresentatività delle quinte che lo delimitano, quanto intimo e confidenziale nella quotidianità che ne ha fatto il salotto dei sassaresi, il luogo dell’incontro e della socializzazione.

E qui si introduce l’altro elemento che chiarisce la cifra culturale con cui ci si trova a confrontasi a Sassari, cioè la capacità dei suoi abitanti di riappropriarsi di spazi ed edifici che l’oblio o l’establishment hanno tentato, invano, di sottrarre, reinventandone le funzioni ed adattandone le forme al “senso dei luoghi”. Così è accaduto per il Parco di Monserrato,  lussureggiante giardino periurbano, arricchito da romantiche architetture neogotiche e divertenti giochi d’acqua, che dal secondo dopoguerra, per quasi sessant’anni, è stato lasciato a sprofondare nella trascuratezza e nell’abbandono; un processo di rimozione culturale che il senso di appartenenza dei Sassaresi ha finalmente sovvertito, favorendo l’intervento di restauro conservativo che ha riportato il Parco all'antico splendore, restituendolo in massima parte alla cittadinanza.

Ma anche un altro simbolo della città, il Palazzo Ducale, ha il proprio vissuto di rimozioni, rinunce, ricostruzioni, riscoperte e riappropriazioni. Per edificarlo nelle forme attuali, splendide, nel XVIII secolo era stato completamente stravolto il tessuto urbano preesistente, cancellandolo completamente o inglobandolo nella nuova struttura. Oggi, da Palazzo di Città, apre al pubblico le sale più prestigiose, dove si possono ammirare importanti collezioni di opere d’arte, arredi e suppellettili, manufatti scaturiti dalla tradizione artigianale locale e documenti di notevole valore storico. Inoltre, le cantine e gli ambienti di servizio al piano terra hanno restituito importanti tracce degli edifici preesistenti, occultati dalla nuova fabbrica, ma adesso nuovamente apprezzabili grazie al suggestivo allestimento espositivo, fruibile mediante una passerella sospesa, denominato Le Cantine del Duca.

Non c’è, invece, soluzione di continuità, perlomeno nel sentimento popolare, per i due eventi che rappresentano i più autentici momenti di condivisione e manifestazione di un comune senso d’appartenenza dei sassaresi e di apertura, al tempo stesso, della città verso il mondo: la Cavalcata Sarda e la Faradda di li Candareri (la Discesa dei Candelieri).

La prima è un folgorante caleidoscopio di colori, tessuti, musiche e danze, di volti e di voci provenienti da ogni angolo della Sardegna, che danno vita ad una festa laica capace di ammaliare e rapire gli spettatori, storditi dal frastuono turbinante prodotto dagli zoccoli dei cavalli e dalle cadenze ossessive dei riti arcaici, riproposti da Compinodori e Sartiglianti, Mamuthones e Issohadores, Boes e Merdules. A distanza di oltre un secolo dalla prima edizione “moderna”, tenutasi nel 1899 per l’inaugurazione del monumento a Vittorio Emanuele II in Piazza d’Italia, alla presenza dei Reali di Casa Savoia, la Cavalcata Sarda conserva tuttora il fascino di un evento che unisce la forza dirompente dei cavalli al galoppo, all’orgoglio di tutte le genti sarde nel mostrare la ricchezza e la solidità delle proprie tradizioni.

In occasione della Faradda di li Candareri, ogni anno il 14 di agosto, si raggiunge  invece il culmine del sentimento religioso e della devozione popolare dei sassaresi. Non a caso, quando i rappresentanti delle antiche corporazioni dei mestieri di Sassari, i Gremi, portano in processione i grandi candelieri votivi in legno da Piazza Castello fino alla suggestiva Chiesa di Santa Maria di Betlem, riempiendo di luci e animando con suoni e spericolate evoluzioni le vie del centro storico, a Sassari è Festha Manna (Festa Grande). E lo è per tutti, sassaresi e forestieri, completamente assorbiti in un processo di comunicazione, conoscenza e condivisione che induce, infine, alla commozione.

(Continua)