Grotte Is Zuddas

Quando la meraviglia è opera perfetta della creazione la si può scoprire fin nelle viscere della terra: è qui, attraverso uno splendido itinerario sotterraneo in mezzo alle rocce dolomitiche del Sulcis, che si rivela la magnificenza di un ambiente a dir poco suggestivo laddove la roccia, scavata nel tempo dalla forza incessante dell’acqua, riesce a scolpire il più fantasioso dell’immaginario umano allestendo scenari che sfidano ogni surrealismo possibile. 

È quello che accade addentrandosi nelle grotte di Is Zuddas, nel territorio di Santadi, scendendo a 236 metri sotto il livello del mare nel calacare cambrico del monte Meana e risalente a 530 milioni di anni fa. Si snodano lungo un percorso di 1650 metri che fa trattenere il fiato dinnanzi alla bellezza e alla varietà delle concrezioni che ne rivestono cavità e pareti: dalle stalattiti alle stalagmiti, passando per le colate e le cannule, fino alle aragoniti, simbolo della grotta la cui formazione è ancora avvolta nel mistero; è facile perdere lo sguardo in ogni dove ma soffermarlo sulla volta della grotta d’ingresso permette di intercettare e sorprendersi dinnanzi alle tracce del prolagus sardus, l’estinto roditore che ha abitato solo i luoghi della Sardegna e della Corsica. 

  • Credits immagini: 
Credits immagini:  

Una bellezza sinfonica pervade invece la cosiddetta sala dell’Organo dove la colonna di stalattiti e stalagmiti ricorda un organo a canne ricamato da formazioni dalle svariate fogge. 

Inoltrandosi nei meandri di un piccolo tunnel si raggiunge la sala del Teatro la cui imponenza precede la meraviglia della sala delle Eccentriche: qui le formazioni filiformi delle aragoniti delineano forme bizzarre e ancor più attraenti se si pensa al loro svilupparsi in ogni direzione vincendo l’influenza della gravità; per questo risultano uniche al mondo. 

Lo spettacolo della natura continua dinnanzi ai “fiori di grotta”, grossi ciuffi di cristalli simili ad aghi formati dalle aragoniti aciculari. Solenne e suggestiva è poi la grotta delle grotte, laddove la roccia ha costruito un meraviglioso presepe arricchito dalle sculture in trachite dello scultore Giovanni Salidu

Il Territorio
Santadi

Rare e preziose sono le perle gemmate nei secoli lungo le rive del rio Mannu; nel caso di Santadi, però, la particolare natura e la fertilità del sito hanno fatto sì che dalla perla originaria ne gemmasse una seconda, sulla sponda opposta del fiume. I due nuclei urbani, che la Storia ha da tempo opportunamente riunito, si sono sviluppati grazie ad una concentrazione sul territorio di eccellenze agroalimentari che è rilevante anche per una terra ad elevata “biodiversità agricola” come la Sardegna. 

Ad una tradizione vinicola giunta ai vertici mondiali grazie al vitigno autoctono Carignano, ma rinomata anche per il miele e l’olio d’oliva, si accompagnano i prelibati formaggi scaturiti dalla tradizione pastorizia locale, da gustare con i pani tipici cotti nel forno a legna: su civraxiu, su coccoi, il pane con ricotta e gerda (lardo di maiale). Le variazioni sul tema spaziano fino ai dolci, che variano in base alle diverse festività: semplicemente indimenticabili sono amaretti, gueffus e pardulas

Ma la natura, a Santadi, è stata generosa anche per le meraviglie ambientali e gli incantevoli paesaggi di cui godere, soprattutto praticando il trekking: lecci, sugheri, tassi, agrifogli e macchia mediterranea rappresentano il ricco patrimonio boschivo di Santadi, che contribuisce a fare del parco di Gutturu Mannu una delle aree verdi più grandi in Italia, con i suoi 35 mila ettari. In questo contesto naturalistico di pregio, per la loro unicità, spiccano comunque alcuni siti: nei pressi di Pantaleo, borgo un tempo legato all’attività mineraria, ci si può addentrare in una foresta di alberi secolari, che offre protezione a daini e cervi sardi e che si caratterizza per la presenza, nel folto della vegetazione di numerose cavità naturali. 

Che sono nulla, però, al confronto con le grotte Is Zuddas, che regalano uno splendido scenario sotterraneo, unico al mondo, creato dall’incessante azione dell’acqua in 600 milioni di anni. Si aprono nelle profondità calcaree del monte Meana e si sviluppano per 1650 metri, di cui circa un terzo visitabile. Stalattiti e stalagmiti, colate e aragoniti si susseguono attraverso le diverse “sale”, autentiche cattedrali ipogee che si distinguono per dimensioni e varietà delle concrezioni. 

Meritano una visita anche le grotte del Campanaccio, della Capra e, soprattutto, quella di su Benatzu (o Pirosu, dal suo scopritore). Al suo interno è stato infatti possibile individuare un tempio nuragico, con tanto di stalagmite in guisa di altare. Moltissimi i reperti custoditi presso il Museo Archeologico del paese provenienti dal sito, in particolare gli oltre duemila oggetti in metallo (lame, monili, utensili, etc.) rinvenuti in un pozzo naturale adiacente all’altare-stalagmite. Nello stesso Museo sono apprezzabili altri reperti provenienti da diversi siti archeologici del basso Sulcis, in particolare quello di Pani Loriga, caratterizzato da stratificazioni estese dal IV millennio a.C. all’VIII secolo d.C.; attualmente la fase storica meglio percepibile corrisponde ad un insediamento fenicio-punico del VII secolo a.C., con relativa necropoli, edificato su un imponente nuraghe e su varie domus de Janas, ma il sito risulta frequentato successivamente anche in epoca romana e bizantina. 

Le tracce nuragiche nel territorio di Santadi sono comunque cospicue, come testimonia la maestosa Tomba di Giganti di Barrancu Mannu, costruita in blocchi di granito giallo e rosa, che risale al 1300 a.C. Ma anche il borgo di Santadi offre le sue suggestioni, passeggiando attraverso il dedalo di viuzze sviluppatosi intorno alla Chiesa parrocchiale di San Nicolò, risalente al XV secolo e ricostruita nell’Ottocento. Merita una visita, infine, sa Domu Antiga, casa-museo che tramanda le antiche usanze sulcitane; fra queste, visitando Santadi a inizio agosto, si può partecipare ai riti ed al corteo nuziale di un tipico Matrimonio Mauritano, celebrato secondo un cerimoniale improntato ad antiche tradizioni rurali, che prevede il coinvolgimento dell’intera comunità, ospiti (piacevolmente) compresi.

(Continua)