È un edificio problematico, l’anfiteatro; pone questioni e impone soluzioni radicali sin dalla scelta del sito più idoneo per costruirlo. È grande, fuori scala, ha una forma ellittica che mal si inserisce fra i cardi e i decumani dell’urbanistica romana; non solo, favorisce la concentrazione di grandi masse di persone, e ne aggrega perniciose aspirazioni e malumori nei confronti del “potere”.
Ma rappresenta – insieme ai complessi termali – l’unico segno tangibile di attenzione delle classi dominanti nei confronti del benessere del popolo, di tutto il popolo. E per questo motivo è una “presenza” inevitabile, per quanto scomoda. L’anfiteatro di Lucca, di problemi, ne ha posti ben altri.
Era eccessivo, soprattutto rispetto alle possibilità economiche della città nel I secolo d.C. La lunga fase edificatoria, mai del tutto completata, è stata sostenuta solo grazie alle donazioni di un ricco patrizio lucchese, rinunziando peraltro al costoso apparato decorativo di ordini architettonici, che solitamente veniva giustapposto alla struttura “viva” in pietre e laterizi.
In seguito, quando la potenza romana era stata cancellata dalle invasioni barbariche e Lucca si trovò a dover fronteggiare l’assedio dei Goti di Narsete, la scelta di scartare i problemi urbanistici già evidenziati ubicando l’edificio al di fuori della cerchia muraria si rivelò pericolosissima, in quanto le possenti murature, già in forte decadimento, potevano essere occupate e utilizzate come riparo dagli assedianti. Da qui la scelta di anticipare il loro arrivo e di trasformare l’anfiteatro in una vera e propria fortezza, occludendone completamente le arcate.
Nei secoli successivi, l’anfiteatro è sempre più entrato a far parte – anche fisicamente – di Lucca. La città lo ha raggiunto e circondato, ne ha occupato l’arena, si è adagiata sulle sue mura, inglobandole ma non sottraendole del tutto alla vista, ne ha carpito gli elementi di maggior pregio per arricchire i nuovi edifici. Un processo lento, giunto a maturazione quando, negli anni trenta dell’Ottocento, l’architetto lucchese Lorenzo Nottolini ha ripensato e liberato lo spazio dell’antica arena ellittica, definita da case a schiera sedimentate nei secoli precedenti, così da restituire perfettamente la sagoma e gli ingombri dell’anfiteatro, come un nuovo spazio di aggregazione urbana.
Lo ha aperto alla città attraverso tre nuovi accessi, in aggiunta all’unico varco precedentemente praticabile, disponendoli sui due assi dell’ellisse, e i lucchesi non hanno esitato a trasferirvi il loro mercato. Da allora, e ancor più da quando negli anni settanta del secolo scorso i banchi di vendita hanno lasciato campo libero ai tavoli di trattorie, bar e ristoranti, ai palchi più o meno improvvisati, agli eventi di ogni genere, Piazza Anfiteatro è il più rappresentativo segno identitario di Lucca, sospeso nella sua duplice natura di vuoto e di pieno, spazio contenuto che non può prescindere dall’edificato che lo contiene.
Sostare nella piazza, viverla, ascoltarla nel gioco di infiniti echi e riverberi che ogni suono produce, dà esattamente la sensazione di entrare nel cuore di Lucca, e di essere partecipi del battito che dalla piazza si espande nelle case circostanti, accendendo, al crepuscolo, i primi lumi.
Una visita a Lucca, la prima o l’ennesima che sia, non è mai banale. Richiede un approccio colto, ed estremamente curioso. Basta percorrere i viali all’esterno della cinta muraria, ed è inevitabile sentirsi attratti dal desiderio di scoprire volumi, forme, spazi e atmosfere, soltanto intuiti perché celati alla vista e protetti dalla possente cortina, che nel tempo ha saputo aprirsi ed accogliere senza mai essere violata.
Lucca, città che appare disegnata e costruita sulle tracce della propria storia, in realtà ne diviene continuamente ispiratrice, mantenendo segni e strumenti che conservano l’originaria consistenza materica, pur offrendosi a rinnovate esigenze di funzione e fruizione.
La struttura urbanistica, in primo luogo. Il sistema viario di origine romana, imperniato sul cardo di via Fillungo - via Cenami e sul decumano di via S. Paolino - via S. Croce, è la matrice che ha informato tutti i successivi sviluppi della città intra moenia, rimanendo percepibile anche nei tratti che risultano parzialmente alterati dalle nuove fabbriche, in particolare quelle dedicate al culto, dal Medioevo in avanti.
Ancora più eclatante il caso dell’Anfiteatro romano. Risalente al II secolo d.C., dalle sue mura in progressivo decadimento è sorta una schiera di edifici, secondo un processo di “estrusione storica” che ha sedimentato l’arena ellittica, trasformandola da spazio monumentale a spazio urbano per antonomasia, la piazza, in quanto tale pienamente recuperata solo nel 1838.
E poi le mura, perfettamente integre. Testimoni e custodi dell’identità di Lucca e dei Lucchesi, sono diventate esse stesse la rappresentazione plastica di questa identità, anch’essa tanto integra quanto “accessibile”. Le splendide porte monumentali che conducono al cuore della città murata simboleggiano efficacemente la serena austerità necessaria per approcciarsi allo spirito del luogo, così come i varchi minori, richiesti dall’uso e dal tempo, indicano una via alternativa, più intima e individualista, per incontrarne gli abitanti.
Tutto, fino a questo punto, sembra dispiegarsi seguendo placide prospettive orizzontali. Gli improvvisi accenti verticali delle torri urbiche, per quanto già percepiti, traguardando oltre le mura, da lontano, suscitano dunque una sorta di appagante disorientamento per chi ha abituato lo sguardo a spazi e dimensioni rese misurabili, e quindi rassicuranti, dai continui rimandi delle quinte stradali. Slanci verso l’alto che hanno esiti mai scontati, se non addirittura imprevedibili, suscitati dai rintocchi delle ore e dei quarti scanditi dalla Torre delle Ore, o dal frusciare sommesso della chioma arborea della Torre Guinigi.
Infine, le chiese di Lucca. Tante, alcune sobrie, altre ricchissime di ornamenti e particolari, tutte indistintamente amate dai Lucchesi, che le sentono affidabili depositarie della propria devozione. Simboli religiosi e opere d’arte custoditi al riparo di facciate complesse, dove l’uso architettonico e mediatico della luce è la cifra condivisa. Ne sono strumenti gli infiniti giochi di intarsi, le sculture, le arcate cieche e le logge, che per contrasto esaltano la luminosità dei marmi e della pietra lucchese delle facciate di San Martino, la Cattedrale, e di San Michele, o lo sfondo aureo della trama musiva sovrapposta alle lisce superfici verticali della facciata basilicale di San Frediano. Contrasti che vengono a proporsi, su piani spazialmente diversi, anche rispetto al caldo cromatismo degli intonaci e del cotto, che prevale sui tetti e lungo le quinte architettoniche di strade e piazze.
Tutto questo ha un effetto straordinario, perché Lucca, l’attuale Lucca, pur essendo il risultato del continuo sovrapporsi e affiancarsi di materiali, tecniche costruttive e soluzioni spaziali che sono espressione di ben definite fasi storiche, artistiche e culturali, infonde equilibrio e armonia come se fosse espressione di un unico pensiero, formatosi in un tempo indefinito, con cui potersi confrontare adesso.