Una torre è probabilmente l’immagine iconica più ricorrente quando si immagina una città “medievale”, tant’è che appare simbolicamente riprodotta in molti stemmi comunali. In realtà, soprattutto per il contesto italico, non esistono città “solo” medievali, e ancora meno sono quelle fondate effettivamente in quel periodo storico. La maggior parte ha un “prima” protrattosi per diversi secoli, e un “poi” che arriva – più o meno drammaticamente – fino a noi.
Accade in Italia, però, che moltissime conurbazioni di dimensioni medio-piccole abbiano mantenuto nei secoli, per intero o in alcune parti, l’assetto urbanistico e buona parte del tessuto edilizio sviluppatisi nel Medioevo. E questi risultano, in gran parte, caratterizzati dalla presenza di torri.
Lucca non fa eccezione; anche se restano poche tracce della maggior parte delle 130 torri civiche censite dal Medioevo ad oggi, quelle superstiti, per le loro peculiarità e lo stato di conservazione, sono invero eccezionali. E nel loro narrato non manca davvero alcunché per suscitare una “curiosa” ammirazione.
La Torre delle Ore, la più alta, misurabile per i suoi 50 metri di altezza o per i 207 scalini da salire per raggiungere la sommità, è un concentrato di storia, eleganza, perizia tecnica, leggenda. Era una fra le tante erette dalle famiglie di notabili lucchesi, ma la sua posizione, proprio su via Fillungo, la fece preferire dal Consiglio Generale di Lucca quando nel 1390 si stabilì di collocare un orologio a rintocchi che risultasse udibile in ogni angolo della città.
Cento anni dopo, al meccanismo che azionava le campane – secondo il sistema romano delle “ore seste” e dei quarti – fu collegato un quadrante esterno per consentire di “vedere” le ore, oltre che di “sentirle”. Il capolavoro di ingegneria orologiaia, che è tornato finalmente a scandire il tempo e ad essere apprezzabile, anche da vicino, dopo i recenti restauri, risale invece alla metà del XVIII secolo, ad opera del ginevrino Louis Simon, a cui venne commissionato il completo rifacimento del meccanismo e del quadrante.
Infine, si diceva, la leggenda. Una splendida e giovane nobildonna, Lucida Mansi, amante del lusso quanto spietata con i suoi spasimanti, stringe un patto con il Diavolo, che le manterrà inalterate bellezza e gioventù per trent’anni, al termine dei quali prenderà possesso della sua anima. Il tempo, pur non lasciando tracce, passa veloce ed inesorabile, e Lucida, allo scadere del patto, a mezzanotte del 14 agosto 1623, si lancia su per le scale della Torre delle Ore per un disperato tentativo di bloccare il meccanismo dell’orologio, e quindi fermare il tempo.
Ma fallisce, e il Diavolo può finalmente riscuotere il suo credito. Una trama, che si può definire inflazionata per il tema di fondo – trattato in ogni tempo ed in ogni luogo – resa però unica e originale dalla contestualizzazione e dall’ambientazione scenografica del momento culminante del dramma, quell’attimo fatale di ritardo che si dilata, dall’interno della Torre, fino all’eternità .
Una visita a Lucca, la prima o l’ennesima che sia, non è mai banale. Richiede un approccio colto, ed estremamente curioso. Basta percorrere i viali all’esterno della cinta muraria, ed è inevitabile sentirsi attratti dal desiderio di scoprire volumi, forme, spazi e atmosfere, soltanto intuiti perché celati alla vista e protetti dalla possente cortina, che nel tempo ha saputo aprirsi ed accogliere senza mai essere violata.
Lucca, città che appare disegnata e costruita sulle tracce della propria storia, in realtà ne diviene continuamente ispiratrice, mantenendo segni e strumenti che conservano l’originaria consistenza materica, pur offrendosi a rinnovate esigenze di funzione e fruizione.
La struttura urbanistica, in primo luogo. Il sistema viario di origine romana, imperniato sul cardo di via Fillungo - via Cenami e sul decumano di via S. Paolino - via S. Croce, è la matrice che ha informato tutti i successivi sviluppi della città intra moenia, rimanendo percepibile anche nei tratti che risultano parzialmente alterati dalle nuove fabbriche, in particolare quelle dedicate al culto, dal Medioevo in avanti.
Ancora più eclatante il caso dell’Anfiteatro romano. Risalente al II secolo d.C., dalle sue mura in progressivo decadimento è sorta una schiera di edifici, secondo un processo di “estrusione storica” che ha sedimentato l’arena ellittica, trasformandola da spazio monumentale a spazio urbano per antonomasia, la piazza, in quanto tale pienamente recuperata solo nel 1838.
E poi le mura, perfettamente integre. Testimoni e custodi dell’identità di Lucca e dei Lucchesi, sono diventate esse stesse la rappresentazione plastica di questa identità, anch’essa tanto integra quanto “accessibile”. Le splendide porte monumentali che conducono al cuore della città murata simboleggiano efficacemente la serena austerità necessaria per approcciarsi allo spirito del luogo, così come i varchi minori, richiesti dall’uso e dal tempo, indicano una via alternativa, più intima e individualista, per incontrarne gli abitanti.
Tutto, fino a questo punto, sembra dispiegarsi seguendo placide prospettive orizzontali. Gli improvvisi accenti verticali delle torri urbiche, per quanto già percepiti, traguardando oltre le mura, da lontano, suscitano dunque una sorta di appagante disorientamento per chi ha abituato lo sguardo a spazi e dimensioni rese misurabili, e quindi rassicuranti, dai continui rimandi delle quinte stradali. Slanci verso l’alto che hanno esiti mai scontati, se non addirittura imprevedibili, suscitati dai rintocchi delle ore e dei quarti scanditi dalla Torre delle Ore, o dal frusciare sommesso della chioma arborea della Torre Guinigi.
Infine, le chiese di Lucca. Tante, alcune sobrie, altre ricchissime di ornamenti e particolari, tutte indistintamente amate dai Lucchesi, che le sentono affidabili depositarie della propria devozione. Simboli religiosi e opere d’arte custoditi al riparo di facciate complesse, dove l’uso architettonico e mediatico della luce è la cifra condivisa. Ne sono strumenti gli infiniti giochi di intarsi, le sculture, le arcate cieche e le logge, che per contrasto esaltano la luminosità dei marmi e della pietra lucchese delle facciate di San Martino, la Cattedrale, e di San Michele, o lo sfondo aureo della trama musiva sovrapposta alle lisce superfici verticali della facciata basilicale di San Frediano. Contrasti che vengono a proporsi, su piani spazialmente diversi, anche rispetto al caldo cromatismo degli intonaci e del cotto, che prevale sui tetti e lungo le quinte architettoniche di strade e piazze.
Tutto questo ha un effetto straordinario, perché Lucca, l’attuale Lucca, pur essendo il risultato del continuo sovrapporsi e affiancarsi di materiali, tecniche costruttive e soluzioni spaziali che sono espressione di ben definite fasi storiche, artistiche e culturali, infonde equilibrio e armonia come se fosse espressione di un unico pensiero, formatosi in un tempo indefinito, con cui potersi confrontare adesso.