Storia di un borgo antico che risorge a città
Si può dire che Grammichele sia una terra risorta. Nella sua esistenza di città nuova ha mantenuto però l’inestimabile valore di tradizioni millenarie, artigiane e produttive, espressione di un popolo umile ma energico e creativo.
Siamo nella Sicilia orientale, la provincia è quella catanese e la città di Grammichele è un originale disegno urbanistico edificato a partire dal 1693 nell’altopiano dei monti Caronia tra Caltagirone, Licodia e Mineo. Ma la “vita nuova” di Grammichele e della sua gente ha radici legate ad un altro territorio e ad un altro tempo, l’antico borgo di Occhiolà improvvisamente distrutto l’11 gennaio del 1963.
È il giorno della catastrofe: il borgo medievale di Occhiolà, con le sue casette di pietra abitate da contadini ed artigiani, è ridotto in macerie a causa di un violento terremoto che coinvolge la quasi totalità dei centri abitati della Sicilia orientale.
Ma è proprio da queste macerie che è ripartito un altro tempo, scandito dai ritmi di un’imponente opera di riqualificazione urbana ed ambientale ancora oggi visibile nello straordinario scenario barocco della Val di Noto, riconosciuta, con i suoi borghi, Patrimonio dell’Umanità.
Grammichele fa parte di questa rinascita e rappresenta infatti il rinnovato paesaggio urbano dell’antica Occhiolà: delle tremila anime che popolavano questo borgo prima del terremoto se ne salvarono appena millecinquecento, disperse nei boschi circostanti; informato della catastrofe sismica, Carlo Maria Carafa Branciforte, principe e barone di Occhiolà, si adoperò nei soccorsi e assicurò ai superstiti che il loro borgo sarebbe rinato nel vicino feudo di Grammicieli. E così avvenne.
Il principe fece ricostruire la nuova Occhiolà, oggi Grammichele, disegnandola nel progetto illuminista del frate ed architetto Michele da Ferla: una città dalla cui piazza centrale a pianta esagonale si diramano le architetture e le arterie di un modello architettonico unico nell’Italia del tempo. Le vedute aeree del territorio urbano offrono infatti una suggestiva fotografia che inquadra Grammichele come l’esclusiva “città dell’esagono”.
Il risorgimento artigiano
Il rinascimento di Grammichele non fu un fatto principalmente urbanistico e architettonico ma parallelamente fondato sulle energie produttive degli abitanti e del territorio. I sopravvissuti al terremoto giunsero nei nuovi luoghi portando vita nuova, volontà di ripresa ma soprattutto il valore delle loro antiche tradizioni: la comunità che aveva cominciato ad abitare il nuovo feudo continuò infatti ad esprimersi e a servire il proprio territorio attraverso la tradizione millenaria della lavorazione della ceramica e della terracotta, degli intagliatori di pietra e degli ebanisti, promuovendo un saper fare tutto artigiano e garante di una necessaria ripresa.
L’abilità degli intagliatori di pietra contribuì al rivestimento di rinnovate architetture, la lavorazione artigianale del legno allo sviluppo di nuovi arredi e di una sempre più affermata attività di falegnameria. È così che l’artigianato sostenne il valore della rinascita locale.
Paesaggio urbanistico e paesaggio produttivo si delinearono assieme nella nuova Grammichele ricostruita dunque sulla scia di un’attività artigianale che bisognava comunque custodire e tramandare: nacque infatti, con questo intento, l’Istituto d’arte di Grammichele, per accogliere con adeguata formazione gli allievi di un saper fare artigiano di tradizione familiare, allievi che, acquisite le più antiche tecniche di lavorazione, sapranno aprirsi anche a più rinnovate visioni.
I nuovi artigiani sono infatti profili moderni, formati però alla scuola dei vecchi maestri e che oggi, forti di quell’antico valore, sanno definire l’autenticità di tessuto produttivo specifico, di una classe artigianale che si è fatta capace anche dei processi d’esportazione nei vari settori del marmo e delle pietre pregiate, nella lavorazione dei metalli e del legno.
Il tesoro archeologico di un non tutto perduto
In questo risorgimento i vecchi e i nuovi abitanti di Grammichele hanno saputo custodire e valorizzare le loro antiche radici non consentendo al terremoto di far andar tutto nel perduto.
Poco distante dall’altopiano in cui sorge la nuova Grammichele c’è un vero e proprio parco archeologico costituito dalle macerie del borgo distrutto di Occhiolà. Un’area archeologica incorniciata da un suggestivo sfondo naturalistico che, tra frammenti e ruderi, testimonia la vita passata di un luogo medievale, un tempo abitato da contadini e artigiani, per lo più falegnami, fabbri o ceramisti. Molti ritrovamenti sono oggi custoditi all’interno del Museo civico di Grammichele e testimoniano la storia antica di Occhiolà e la sua vocazione artigiana: appartengono infatti ai ritrovamenti del sito una quantità di vasellame e alcune statuette votive di terracotta che rappresentano un vero e proprio capolavoro di artigianato realizzato per popolare un antico presepe. Reperto altrettanto significativo in questo senso è poi quello relativo ad un forno utilizzato per la cottura dei vasi e che si trovava probabilmente all’interno di una locale bottega artigiana.
Del castello trecentesco che dominava la parte alta di Occhiolà rimangono i pochi ruderi delle mura e di un edificio centrale, resta infine e perlomeno intatta la bellezza naturalistica di questo borgo che, dal colle di Terravecchia, lascia ammirare il paesaggio dell’intera vallata che dall’Etna si estende fino a Caltagirone.