Soveria Mannelli

Un borgo dalla produzione identitaria 

È un territorio di montagna, dell’essere montagna trattiene bellezza e carattere: la sua configurazione è naturalmente irregolare ma il paesaggio non tradisce armonia, quella propria della genuinità rurale. Ci sono abitudini antiche e dedita operosità, illuminate anche da uno sguardo lungimirante d’impresa. 

Intorno ci sono fitti boschi e il borgo si posiziona ai piedi del monte Reventino, a più di settecento metri dal livello del mare, nell’altopiano della Sila Piccola e tra le provincie calabresi di Catanzaro e Cosenza.  

L’identità territoriale è anche nel nome: Soveria è etimo del locale “suarvu” che si riferisce alla pianta graminacea qui molto diffusa, mentre Mannelli è riferito ai “manni”, antichi arnesi d’artigianato, fatti di legno e utilizzati per la tessitura del lino che, per un tempo lunghissimo-dal XVII al XX secolo- fu la principale attività economica del borgo, impegnato nella lavorazione del lino che veniva coltivato nei dintorni silani. 

Altre attività produttive, di stampo artigianale e commerciale, subentrarono solo a partire dai primi dell’Ottocento e grazie allo sviluppo di una nuova arteria stradale capace di garantire collegamenti fino a Battipaglia e che di fatto ammortizzò la distanza del borgo montano dalle altre vie di comunicazione. 

Ma in origine la produzione identitaria di Soveria Mannelli ebbe una storia e un percorso produttivo evidentemente rispondente a una precisa vocazione territoriale: il territorio circostante poteva contare su una presenza cospicua di pecore di razza, cosiddetta Gentili e dalla quale si ricava una lana pregiata tipo merinos; per far fronte al freddo clima di montagna, di quella lana ve ne era indubbiamente bisogno e di necessità si fece virtù; quasi la totalità della collettività puntò sulla risorsa lana e ci fu chi, intuendone il potenziale produttivo, fece di quell’abbondante materia prima un autentico disegno d’industria.   

Di per sé attorno al borgo si attivò un circuito fruttuoso che fece di quel territorio un piccolo ecosistema ma ben strutturato: i mandriani venivano con la loro misura di lana merinos, incrociavano la lungimiranza imprenditoriale della fabbrica di territorio e spesso barattavano la materia prima in cambio di qualche necessaria coperta o tessuto. 

Cambio d’identità o identità che cambia 

Fuori dal borgo gli sforzi economici del luogo generavano cambiamenti influenzando la storia produttiva di questo piccolo territorio. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta infatti, nelle località silane si possono contare diverse realtà, di vocazione eterogenea, che potrebbero dar vita ad un distretto produttivo della piccola industria identitaria. Le scelte amministrative e i sostegni a livello centrale si orientano però non più a favore del settore tessile ma di quello lattiero caseario che rappresenta comunque un’altra importante faccia della medaglia: le condizioni ambientali dell’Altopiano Silano, come la qualità dell’aria-che è risultata la più pura d’Europa- dell’acqua e la rigogliosità erbacea caratterizzano questa regione come ideale per la zootecnica, l’allevamento, la lavorazione di latte e funghi. 

È così che questo territorio fa presto a scommettere e a farsi conoscere anche grazie a questo tipo di produttività che associa ai sapori della produzione tipica un’importanza di ordine culturale e sociale, legata alle antiche tradizioni calabresi di lavorazione e conservazione.  

La predisposizione alle attività produttive di Soveria Mannelli è però ancora oggi fondamentalmente rappresentata dall’affermazione innovativa di un originario lanificio, da un opificio industriale del mobile e da un inedito, per il territorio, settore editoriale, tutte dimensioni che hanno messo in moto un meccanismo dinamico e culturale attraverso il quale l’identità si può raccontarsi ancora.