Castello Normanno-Svevo di Nicastro

È un gran sovrano dominatore, mai sconfitto neanche dal quel secolare trascorrere del tempo a cui i suoi ruderi resistono fieri. 

La sua veste è dunque intessuta dalla suggestiva maestosità del frammento con cui riesce a dominare la scena, eccola: si erge quasi vacillando e sfidando l’equilibrio instabile di una sporgenza rocciosa laddove è la sommità del colle di San Teodoro; è da qui che il maniero domina tutto l’antico borgo di Nicastro affacciandosi poi a strapiombo sul torrente Canne e fermo nella sua vocazione a controllo e difesa dell’estesa Piana di Sant’Eufemia fino al mare. 

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Fu costruito dai Normanni tra la fine del XI e gli inizi del XII secolo anche se nelle epoche successive furono apportate diverse modifiche predisposte principalmente dall’imperatrice Costanza d’Altavilla e, nel 1235, dall’imperatore Federico II: così il Castello Normanno Svevo fu ampliato nel perimetro della zona bassa, fu potenziato in tutte le sue strutture difensive e nella cinta muraria intervallata da torri; fu inserito nel piano difensivo dell’Italia Meridionale e quindi sempre più concepito nell’austera veste di imponente fortificazione militare alla quale furono aggiunti spazi destinati a caserme successivamente adibite a carceri. 

In tutto si potevano contare sedici distinti corpi di fabbrica, un’ala residenziale, una piazza d’armi e uno spazio destinato a cisterna: una magnificenza evocata ancora oggi dal fascino di ciò che suggestivamente ha sfidato lo scorrere del tempo e che si ripercorre negli importanti frammenti delle sue quattro torri cilindriche, delle mura, dei bastioni, di cui uno pentagonale, di un contrafforte con loggetta e dei ruderi di un corpo ottagonale. 

Antiche vestigia che rappresentano ancora oggi una delle più emblematiche e suggestive testimonianze del millenario passato lametino, di un tempo in cui già forte era stata la volontà di abitare e dominare la bellezza sconfinata della Piana.

Il Territorio
Lamezia Terme

Prima ancora che una città, la quarta per importanza della Calabria, prima ancora che uno strategico scalo dove atterrare, prima ancora che uno snodo nel quale confluire per raggiungere i più bei centri calabresi, prima ancora di ogni altro suo essere strutturale, Lamezia Terme è la spontanea e semplice bellezza, spesso incompresa, di un territorio che sa esprimersi attraverso il racconto incantevole di luoghi sinceri e inebrianti che, in un batter d’ali, possono dire del mare e dell’entroterra, delle preziose terme e di un circondario ricco di tesori storici, delle affascinanti scogliere tirreniche e degli sconfinati orizzonti della pianura fino a risalire, pian piano, tra dolci e panoramiche colline che precedono la bellezza silvestre della montagna: Lamezia Terme si racconta insomma nella magnifica estensione del suo Golfo di Sant’Eufemia, attraverso otto chilometri di spiaggia per fiorire poi in una delle maggiori e più fertili aree pianeggianti della Calabria, la Piana di Sant’Eufemia, fino ad attraversare il versante meridionale del monte Reventino e del monte Mancuso, a Sud di quella Sila che è montagna viva nel cuore vivo del Mediterraneo. 

Un racconto che si arricchisce dell’intensità storica di capitoli inscritti nelle pagine del suo circondario: nei siti archeologici, come quello di Sant’Eufemia Vetere laddove si possono ammirare i resti della città di Terina risalenti al 500 a. C. o al fascino dei ruderi dell’Abbazia Benedettina imbattendosi poi in strutture di epoca normanna, greca e romanica o in palazzi dell’età borbonica; così, finalmente giunti nel suo centro urbano, unione e sintesi di tre paesi diversi e consolidatasi nel 1968, si può leggere ancora di una storia antica e medioevale, quella di Nicastro e del suo Castello Normanno i cui ruderi, dalla sommità del colle San Teodoro, dominano la piana e offrono un incantevole scorcio del borgo storico, o quella di Sambiase bella e generosa di prospettive, con vicoli e architetture religiose, o quella di Sant’Eufemia Vetere laddove si erge il Bastione dei Cavalieri di Malta, una massiccia torre di guardia costruita nel XVI secolo. 

E poi la ricchezza delle chiese, come la Cattedrale seicentesca dei Santi Pietro e Paolo, la neoclassica Chiesa di San Domenico, con dipinti incorniciati in un raffinato stile barocco, la Chiesa dei Cappuccini di Sant’Antonio con la tela dell’Immacolata di Andrea Cefaly e la Chiesa Matrice di San Pancrazio con interno seicentesco e decorazioni barocche. 

Sui resti di un monastero basiliano sorge oggi il Palazzo del Seminario Vescovile che è anche sede del Museo Diocesano dove, tra le diverse opere d’arte, si conserva anche una statua della Madonna delle Grazie attribuita allo scultore svizzero Domenico Gagini e risalente al XV secolo. Pregevoli anche le esposizioni del Museo Archeologico Lametino, in una galleria di reperti provenienti dagli scavi effettuati sul territorio, dall’abitato di Terina della seconda metà del IV secolo a. C. alla cosiddeta Hydria di Cerzeto, un grande vaso a figure rosse risalente al 380- 370 a. C. e raffigurante scene di gineceo. 

La vita familiare, nelle tipicità del suo territorio, si ritrova ancora nelle esposizioni più recenti dell’Ecomuseo e Luogo della Memoria: uno spazio senza tempo per leggere tra le righe degli arredi familiari di una volta, tra gli oggetti di arti e mestieri antichi, espressione di un artigianato vissuto nelle botteghe del ferro battuto, nei piccoli laboratori di ceramica o in quelli tessili di cui se ne espongono i vecchi telai a mano ancora funzionanti. 

Circondate da alberi e ad un passo dal mare, in un’atmosfera intima e silente sgorgano e fluiscono poi le acque termali di Caronte, scoperte a metà del XVII secolo e dalle note peculiarità terapeutiche. Un territorio che si rivela in una molteplicità di aspetti storici e soprattutto naturalistici, un luogo le cui ricchezze e potenzialità si preservano ancora come in una timida carezza mentre, tutto intorno, è un desiderare la forza dell’abbraccio, quello che solo questo luogo può dare.

(Continua)